Appello alle autorità regionali italiane: “Ingresso della Croazia nell’UE: no all’adozione di misure transitorie per i lavoratori croati” – 24/05/2013

Cort. att.ne della Presidente della Giunta Regionale
Debora Serracchiani
c/o Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Piazza dell’Unità d’Italia, 1
34121 – Trieste

Cort. att.ne del Presidente della Giunta Regionale
Luca Zaia
c/o Regione del Veneto
Palazzo Balbi – Dorsoduro, 3901
30123 – Venezia

Cort. att.ne dell’Assessore Regionale al Lavoro, Formazione, Commercio e Pari Opportunità
Loredana Panariti
c/o Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Direzione centrale del lavoro, formazione, commercio e pari opportunità
Via San Francesco d’Assisi, 37
34133 – Trieste

Cort. att.ne dell’Assessore Regionale all’Istruzione, alla Formazione e al Lavoro
Elena Donazzan
c/o Regione del Veneto
Palazzo Balbi – Dorsoduro, 3901
30123 – Venezia

Trieste, 24 maggio 2013

OGGETTO: adesione della Croazia all’Unione europea – inopportunità dell’adozione di misure transitorie alla mobilità dei lavoratori subordinati croati dopo il 1° luglio 2013

Gent.mi Presidenti e Gent.me Assessori,

come noto, il prossimo 1° luglio la Croazia diventerà il 28° Paese dell’Unione europea. Tale evento, fortemente sostenuto e supportato dal Governo italiano durante tutto il periodo in cui la vicina Repubblica ex-Jugoslava ha intrapreso il proprio percorso di adesione, avrà – tra le altre – importanti ripercussioni anche sul mercato del lavoro italiano.

Tuttavia, ben lungi dal richiedere la necessità di misure di protezione da un presunto rischio “invasione” da parte dei lavoratori subordinati croati, l’ingresso della Croazia nella comune famiglia europea rappresenterà invece una chance per il mercato del lavoro nazionale e del Friuli Venezia Giulia e del Veneto in particolare, per poter vedere finalmente avviato un serio percorso di regolarizzazione di migliaia di rapporti di lavoro, che riguardano soprattutto i lavoratori frontalieri.

I lavoratori frontalieri croati, storicamente presenti nel mercato del lavoro delle regioni italiane del Nord-Est sin dalla creazione degli stati nazionali nell’area dell’alto Mare Adriatico, sono attualmente e fino al 30 giugno p.v. sottoposti alla normativa sull’immigrazione (il D.Lvo 28 luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni e integrazioni), la quale prevede l’emanazione dei decreti flussi (misura che, a prescindere dalla sua farraginosità, sin dalla sua creazione non è stata sempre assunta con costanza, tempismo e congruità rispetto ai bisogni del mercato del lavoro italiano), come condizione per poter instaurare un rapporto di lavoro regolare nel territorio nazionale. Inoltre, nel caso dei lavoratori frontalieri, la previsione del comma 5 dell’Art. 27 del citato Testo Unico sull’immigrazione, che recita: “L’ingresso e il soggiorno dei lavoratori frontalieri non appartenenti all’Unione europea è disciplinato dalle disposizioni particolari previste negli accordi internazionali in vigore con gli Stati confinanti” (non valga al proposito l’obiezione che Italia e Croazia non hanno un confine terrestre diretto, visto che non questo aspetto deve essere tenuto in considerazione, bensì la vicinanza tra i due paesi, che in certi punti sono distanziati da soli 20 chilometri circa di territorio sloveno), non ha mai trovato concreta applicazione, né nei confronti della Slovenia (quando, fino al 30 aprile 2004, era fuori dall’Unione europea), né nei confronti della Croazia, ancora paese terzo per poche settimane. Non è difficile dunque comprendere come il combinato disposto di questi due aspetti abbia di fatto impedito ai lavoratori frontalieri croati di essere regolarmente impiegati nel territorio italiano.

Peraltro, dapprima Italia e Jugoslavia e, dal 1991, Italia, Slovenia e Croazia hanno stabilito delle forme di ingresso agevolato dei rispettivi cittadini nei propri territori nazionali, a partire dagli Accordi di Udine del 1955, per arrivare poi alla soppressione dei visti d’ingresso per soggiorni brevi (fino a 90 giorni) e, addirittura, alla necessità di esibire ai valichi di frontiera (fino a quando esistevano, anche tra quelli italo-sloveni, ora, con l’ingresso della Slovenia nello Spazio Schengen avvenuto nel dicembre 2007, tra quelli sloveno-croati) la sola carta d’identità. Anche in virtù di queste facilitazioni, dunque, i lavoratori frontalieri, jugoslavi prima e croati poi, ben lungi dal rimanere confinati all’esterno del territorio nazionale, sono invece da decenni presenti nel nostro paese, dove sono massicciamente impiegati in modo irregolare.

Tali lavoratori sono impiegati in settori chiave dell’economia regionale del Friuli Venezia Giulia e del Veneto (turismo, edilizia, cantieristica navale, agroalimentare), ma anche e soprattutto nel settore di cui maggiormente usufruiscono le famiglie con persone anziane o comunque affette da patologie invalidanti, che le rendono non autosufficienti, vale a dire quello del lavoro domestico e dell’assistenza domiciliare. Le stime, perché di stime bisogna parlare in quanto di lavoro irregolare e quindi non censibile si tratta, raccontano di almeno 10.000 presenze quotidiane da parte di lavoratori e lavoratrici residenti in Slovenia e Croazia.

Per questa ragione, facendo propria l’allegata risoluzione adottata dalla Confederazione Europea dei Sindacati (C.E.S.) nel dicembre 2012, il Consiglio Sindacale Interregionale Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Sudoccidentale CGIL, CISL, UIL, SSSH (l’associazione costituita nel 1995 e preposta alla cooperazione transfrontaliera e alla tutela dei lavoratori frontalieri, che riunisce i livelli regionali delle organizzazioni sindacali del Friuli Venezia Giulia, del Veneto e delle contee croate geograficamente più prossime all’Italia) con la presente vi chiede di esercitare tutte le forme di pressione del caso sul Governo italiano, al fine di evitare che quest’ultimo adotti le misure transitorie di limitazione della libera circolazione dei lavoratori subordinati croati, che sono contemplate come possibili dal Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea. Tali misure, previste per periodi limitati di tempo nel caso si possa temere una forte pressione migratoria da parte dei lavoratori di un paese neocomunitario o quando gli stessi siano sostanzialmente rimasti fuori dai mercati del lavoro dei paesi comunitari, avrebbero invece nel caso dei lavoratori croati in Italia il risultato di “chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati”.

Viceversa, concedere da subito la piena libera circolazione ai lavoratori croati (molti dei quali di origine, lingua e cultura italiana, anche se non tutti di passaporto) avrebbe il vantaggio di trattarli sin dal prossimo 1° luglio alla stregua di tutti gli altri cittadini comunitari nell’accesso al lavoro, facendo quindi cadere qualsiasi alibi residuo alla necessità di impiegarli irregolarmente. Le misure transitorie contemplano, infatti e per definizione, dei limiti (numerici o di settore) e degli appesantimenti burocratici nell’instaurazione dei rapporti di lavoro, che potrebbero essere usati come scusa per il mantenimento dello “status quo”. L’esperienza dell’allargamento dell’Unione europea avvenuta il 1° Maggio 2004, quando l’Italia adottò per poco più di due anni il sistema delle quote nei confronti dei cittadini di 8 dei 10 paesi neocomunitari, tra cui la Slovenia (unico di quel gruppo di paesi ad avere un confine terrestre diretto con l’Italia), è in tal senso illuminante.

In quel periodo non ci fu praticamente la percezione da parte dei lavoratori sloveni di essere passati dalla condizione giuridica di cittadini di un paese terzo a quelle di cittadini comunitari. Simile discorso valse per i loro datori di lavoro, che non apprezzarono una sostanziale differenza tra le lunghe, farraginose e burocratiche procedure di assunzione previste dalla legislazione italiana dedicata ai cittadini di paesi terzi e quelle previste dalle misure transitorie. La risultante di quella situazione fu che datori di lavoro e lavoratori continuarono a mantenere in essere i rapporti di lavoro irregolari. Tra il 1° maggio 2004 e il 31 luglio 2006, periodo di vigenza in Italia delle misure transitorie dedicate ai lavoratori neocomunitari dei paesi dell’allargamento dell’Unione europea del 2004, le Direzioni Provinciali per il Lavoro di Trieste e Gorizia (quelle maggiormente interessate per competenza territoriale dal flusso di lavoratori sloveni) rilasciarono rispettivamente 314 e 588 autorizzazioni al lavoro a favore di cittadini sloveni, contro una storica presenza stimata – come ricordato sopra – in almeno 10.000 lavoratori frontalieri tra residenti in Slovenia e Croazia impiegati nel mercato del lavoro del Friuli Venezia Giulia.

Non molto diversi sono stati gli effetti della scelta intrapresa dal Governo italiano nel periodo 2007-2011, quando in occasione dell’allargamento dell’Unione europea che ha riguardato Romania e Bulgaria l’Italia adottò le misure transitorie solamente per alcuni settori dell’economia nazionale. In quegli anni, infatti, era sufficiente per un datore di lavoro intenzionato ad assumere un cittadino romeno o bulgaro in uno dei settori soggetti a limitazione dichiarare la conformità delle condizioni contrattuali applicate ai CCNL, per poter ottenere il nulla osta richiesto…

Per tutte le ragioni sovraesposte, al fine di evitare che con l’imminente allargamento dell’Unione europea alla Croazia si ripetano le situazioni del recente passato, e convinti che, invece, il Governo italiano possa utilizzare questa occasione per mettere mano allo storico fenomeno dei rapporti di lavoro irregolari che riguardano i lavoratori frontalieri croati in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, vi chiediamo di valutare attentamente questa nostra richiesta, e di adoperarvi affinché il Governo italiano non adotti misure transitorie della libera circolazione nei confronti dei lavoratori croati. Vi chiediamo altresì di adoperarvi, per quanto di vostra competenza, affinché vengano correttamente normati tutti gli aspetti specifici (sicurezza sociale e fiscalità) che rendono vulnerabile il lavoro frontaliero.

Certi dell’attenzione che vorrete riservare a questa nostra richiesta e disponibili a fornirvi qualsiasi chiarimento sull’argomento, vi chiediamo di potervi incontrare, al fine di meglio illustrare la situazione dei lavoratori frontalieri croati presenti in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto e, più ampiamente, alcuni aspetti problematici che riguardano il fenomeno del frontalierato in generale, che ancora costituiscono ostacoli alla mobilità dei lavoratori frontalieri nella due regioni.

Distinti saluti,

Il Presidente del Consiglio Sindacale Interregionale
Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Sudoccidentale
CGIL, CISL, UIL, SSSH
Michele Berti