Appello congiunto dei 3 C.S.IR. del Friuli Venezia Giulia all’Assessore regionale al Lavoro: “La Regione FVG coordini i rapporti tra Italia, Slovenia, Croazia e Austria per sconfiggere il lavoro nero dei frontalieri” – 09/02/2021

Cort.ne Att.ne dell’Assessore al lavoro, formazione, istruzione, ricerca, università e famiglia
Dott.ssa Alessia Rosolen
c/o Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
Direzione Centrale Lavoro, Formazione, Istruzione e Famiglia
Via San Francesco d’Assisi, 37
34133 – Trieste

Trieste, 9 febbraio 2021

OGGETTO: elenco (non esaustivo) degli ostacoli alla mobilità dei/delle lavoratori/trici frontalieri/e che si muovono nell’area compresa tra Friuli Venezia Giulia, Slovenia, Austria e Croazia e suggerimenti per possibili soluzioni

Gent.ma Assessore,

come da lei richiesto, siamo con la presente a sottoporle un documento contenente una descrizione degli ostacoli alla mobilità che affliggono i/le lavoratori/trici frontalieri/e che si muovono nell’area compresa tra il Friuli Venezia Giulia e i paesi confinanti e limitrofi e una tabella sinottica contenente in modo schematizzato i medesimi citati ostacoli e l’indicazione di possibili soluzioni.

In più di 25 anni di attività, i tre Consigli Sindacali Interregionali aventi sede nel territorio regionale si sono profondamente dedicati all’analisi del mercato del lavoro frontaliero di quella che – fino a qualche anno fa – era l’area geografica su cui insisteva la Comunità di Lavoro Alpe Adria e, in particolare, del Friuli Venezia Giulia. Come noto, nel nostro territorio persiste da decenni un importante fenomeno di lavoro sommerso che riguarda i/le lavoratori/trici frontalieri/e impiegati/e nel mercato del lavoro regionale e che nemmeno l’adesione dei paesi confinanti e limitrofi all’Unione europea è riuscita significativamente a ridimensionare.

Il fenomeno in parola è certamente dovuto a molti fattori, tra i quali – secondo la nostra analisi – uno dei principali è quello costituito dal quadro giuridico non sufficientemente e correttamente regolamentato, su cui si innestano i rapporti di lavoro di tali persone. Per questa ragione, siamo fermamente convinti che, anche alla luce della normativa dell’Unione europea – divenuta nel corso degli anni vincolante non solo per l’Italia, ma anche per l’Austria, la Slovenia e, infine, pure la Croazia -, sia fondamentale che tutti gli attori in campo, nel rispetto dei propri ruoli, si impegnino alacremente per arrivare alla costruzione di una cornice legislativa finalmente coerente con i principi comunitari e internazionali e, quindi, non discriminatoria, che sia in grado di eliminare ogni ostacolo alla mobilità dei/delle lavoratori/trici frontalieri/e. Solo così, a nostro avviso, sarà possibile creare le premesse per sradicare il lavoro sommerso dei/delle lavoratori/trici impiegati/e in Friuli Venezia Giulia e residenti nei paesi confinanti e contermini, togliendo a loro e ai loro datori di lavoro ogni alibi per il mantenimento in essere di tale inaccettabile realtà.

E da questo punto di vista, come ampiamente dimostrato da altre realtà confinarie d’Europa, per poter correttamente regolamentare i fenomeni di frontalierato appare indispensabile la collaborazione tra i diversi attori del mercato del lavoro dei paesi interessati (in primis quelli di emanazione pubblica, competenti per gli ambiti maggiormente rilevanti per il lavoro frontaliero e che presentano maggiori criticità), in modo che gli interessi dei diversi attori statali vengano esplicitati e trovino in un processo dialogico e pattizio una composizione reciprocamente soddisfacente. In tal senso, considerata l’inerzia propria delle istituzioni dei paesi vicini (soprattutto di Slovenia e Croazia), riteniamo che la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia potrebbe assumere un ruolo propulsivo di regia, per tentare di portare intorno allo stesso tavolo tutti gli attori rilevanti. Inoltre, sarebbe altamente opportuno venissero definite, attraverso accordi bilaterali con ciascuno dei paesi confinati e limitrofi (per quanto riguarda il caso della Slovenia, il Comitato congiunto Slovenia-Friuli Venezia Giulia e/o il Partenariato Transfrontaliero EURES Euradria potrebbero di certo assolvere a tale funzione), le specificità del lavoro frontaliero, chiarendo le condizioni e le tutele da garantire reciprocamente in materia fiscale, della sicurezza sociale e della regolamentazione del mercato del lavoro.

Infine, nel dedicare uno sguardo al nostro paese, riteniamo sia necessario prendere atto che in Italia vi è una spiccata propensione a istituire per via legislativa vantaggi sociali e fiscali (si pensi, a titolo esemplificativo, alle diverse detrazioni fiscali che vengono istituite nel nostro paese, con cadenza praticamente annuale, oppure alle misure di welfare create per venire incontro alle esigenze delle persone più bisognose, delle famiglie, delle donne che si trovano a dover conciliare gli impegni della vita lavorativa con quelli familiari, ecc.). Questa tendenza comporta, in ossequio agli obblighi comunitari, la necessità che il legislatore italiano (di qualsiasi livello) tenga nella debita considerazione la condizione di quei/quelle lavoratori/trici (tra cui vi sono certamente anche i/le frontalieri/e), che pur non essendo residenti nel nostro territorio nazionale sono comunque titolati/e a ricevere la parità di trattamento. In buona sostanza, il legislatore (nazionale, regionale o territoriale) di ogni paese comunitario, proprio in virtù dell’appartenenza di tale paese all’Unione europea, dovrebbe “cambiare paradigma”, assumendo cioè l’attitudine che lo porti in determinate materie a legiferare sistematicamente non solo nell’interesse delle persone residenti nel territorio su cui esercita la sovranità, bensì anche di quelle persone che pur non essendo residenti in tale territorio, esercitano in esso la propria attività lavorativa, versando alle sue istituzioni competenti la propria contribuzione e pagando alle sue competenti autorità le proprie tasse sul reddito che lì vi producono.

Coerentemente a quanto sopra affermato, dunque, e partendo dalle seguenti premesse che – come detto sopra, ai sensi della legislazione comunitaria e della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea – dovrebbero essere sempre tenute in considerazione nel normare la condizione dei/delle lavoratori/trici in mobilità tra i diversi paesi dell’Unione europea, vale a dire:

  • il/la lavoratore/trice cittadino/a dell’Unione gode in qualsiasi paese dell’Unione europea del principio della parità di trattamento;
  • il Regolamento (CE) 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale dispone che il/la lavoratore/trice frontaliero/a sia assoggettato/a a un solo sistema di sicurezza sociale, che è quello del paese di lavoro;
  • il Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei/delle lavoratori/lavoratrici all’interno dell’Unione afferma all’articolo 7, comma 2 che il/la lavoratore/trice cittadino/a di uno Stato membro, sul territorio degli altri Stati membri “(…) gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali” e che tale diritto deve essere riconosciuto indistintamente ai lavoratori permanenti, stagionali e frontalieri o a quelli che esercitino la loro attività in occasione di una prestazione di servizi;
  • la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha continuativamente affermato nelle proprie sentenze che i/le lavoratori/lavoratrici frontalieri/e, avendo accesso al mercato del lavoro di un paese dell’Unione europea, in quanto esercitanti in detto paese la loro attività lavorativa esclusiva o principale e dunque sottoposti/e in tale paese all’imposizione fiscale sui redditi derivanti da tali attività lavorative, determinano in linea di massima un nesso di integrazione sufficiente con la società di detto paese dell’Unione europea idoneo a consentire loro di avvalersi in detto paese del principio di parità di trattamento con i/le cittadini/e nazionali ivi residenti, in termini, tra l’altro, di accesso ai servizi per l’impiego, misure di ricollocamento e formazione professionale, vantaggi sociali e fiscali;
  • in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea la nozione di vantaggio sociale di cui all’articolo 7, comma 2 del Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei/delle lavoratori/lavoratrici all’interno dell’Unione deve essere interpretata come “ogni beneficio, collegato o meno ad un contratto di lavoro, conferito ai lavoratori nazionali in base al loro status di lavoratori o al mero fatto della loro residenza sul territorio nazionale e la cui estensione ai lavoratori di altri Stati membri appare atta a facilitare la loro mobilità in seno al territorio europeo”;
  • ogni ente di qualsiasi paese dell’Unione europea titolare della potestà legislativa, sia a livello nazionale, sia a livello regionale e territoriale, è tenuto a legiferare nel rispetto dei principi sopra enunciati;

nell’allegato alla presente si delineano – suddivisi per ambito e che siano di nostra conoscenza e, quindi, purtroppo in modo non esaustivo -, gli ostacoli alla mobilità che affliggono:

  • i/le lavoratori/trici frontalieri/e residenti in Austria, Slovenia e Croazia e impiegati/e nel mercato del lavoro del Friuli Venezia Giulia e
  • i/le lavoratori/trici frontalieri/e residenti in Friuli Venezia Giulia e impiegati/e in Austria, Slovenia e Croazia.

Infine, sempre nell’allegato, è inclusa:

  • una tavola sinottica con l’elencazione di tutti gli ostacoli alla mobilità censiti, comprensiva dell’indicazione di possibili soluzioni.

Ringraziando per l’attenzione che vorrà dare alla presente e restando a disposizione per qualsiasi esigenza di chiarimento e/o integrazione, si porgono

Cordiali saluti,

Per il C.S.IR. Italo-Croato Alto Adriatico
il Presidente
Michele Berti

Per il C.S.IR. Friuli Venezia Giulia/Slovenia
il Presidente
Roberto Treu

Per il C.S.IR. Friuli Venezia Giulia/Carinzia
il Presidente
Giovanni Fania

Allegato